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Il Patrimonio Storico-Artistico e i Paesaggi da tutelare

Con l'espressione "bene culturale" s'intende tutto ciò che fa parte del patrimonio storico-artistico del passato e che documenta l'attività creativa dell'uomo. Non solo dunque le opere conservate nei musei, ma tutta una serie di edifici, resti di insediamenti antichi, strumenti e tradizioni popolari, paesaggi naturali che compongono il variegato panorama culturale del nostro Paese. L'Italia, proprio per la sua storia, è un vero museo a cielo aperto, intessuta com'è di importanti testimonianze del passato. Questo immenso patrimonio, unico per la sua quantità e la ricchezza dei tesori artistici, deve essere tutelato. Il nostro compito, perciò, è quello di proteggerlo e conservarlo affinchè non si disperda, poichè esso rappresenta un valore prezioso sia per la nostra cultura, sia per la società del futuro.

 

 

Viviamo l’Arte!

 

Le nostre Fonti Storiche 

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La Storia della Chiesa di Santa Maria delle Stelle

 

 

La Chiesa di "Santa Maria delle Stelle" sorge al confine tra i comuni di Serra San Quirico e Mergo, a circa 2 km dal borgo di Trivio, sopra un colle che dalla chiesa prende il nome e che domina il panorama delle due vallate del Misa e dell'Esino; ci troviamo a 500 metri sopra il livello del mare.
La Chiesa fu costruita dai Monaci Ospitalieri su un preesistente sito pagano dei secoli IX-X, e diventò un rifugio per i viandanti ed i pellegrini che percorrevano l’antica Via Lauretana. La Via Lauretana è un’antica via di pellegrinaggio mariano che, fin dal Medioevo, ha collegato Roma al santuario della Santa Casa di Loreto.

L’itinerario offriva, a pellegrini e viandanti in transito, la possibilità di ricovero e assistenza in numerose strutture spesso gestite da confraternite o ordini religiosi.

Nel sec. XII, gli Ospitalieri cedettero la chiesa e l'annesso convento, che oggi corrisponde con l’abitazione del custode, Signor Mario, ai Monaci Camaldolesi dell'abbazia di Sant'Elena. I Monaci Camaldolesi erano Monaci Benedettini legati alla nota comunità fondata nel 1024 circa da San Romualdo, che cercò di coniugare la tradizione monastica orientale e quella occidentale benedettina.

Lo storico nostro conterraneo, Domenico Gaspari, parla di questa Chiesa nelle sue Memorie Storiche riportando un Decreto del 28 Giugno 1880, che rendeva esecutorio l’atto con cui si cedeva al Municipio di Serra San Quirico l’antico tempio che apparteneva ai padri Camaldolesi di Sant’Elena.

L'esterno della Chiesa

 

L'edificio semplice in stile romanico, costruito in cotto, ha una pianta a croce latina con una navata unica e transetto ad una sola abside,con un impianto a ‘T’ che è raro nella nostra zona; fu distrutto da un violento terremoto del 1741, ma venne ricostruito in breve tempo e ristrutturato più volte, specialmente dopo il 1741 e nel 1837.

Il campanile a vela è stato costruito molto più tardi rispetto alla struttura; in proposito, il custode della Chiesa, Signor Mario Chiodi, che abbiamo avuto il piacere di intervistare, ha riferito che quando venne a vivere su questo colle trovò già la campana che vi si trova oggi, mentre all’interno nel transetto c’è una campana più antica. La chiesa è lunga 14 m e larga 16. Quando fu tracciata la strada di collegamento tra Serra San Quirico e Mergo, sono state trovate molte tracce di costruzioni anteriori all'epoca della chiesa.

Sulla semplice facciata si apre un portale in pietra a tre archivolti su bassi capitelli ornati di motivi geometrici. Sul braccio destro c’è un secondo portale, in cotto, con arco esterno decorato allo stesso modo del portale principale. Posteriormente, si nota l’abside, priva di decorazioni, traforata da una monofora romanica.

Una seconda monofora, ad arco trilobato, è a fianco dell’abside,nella parete del transetto.

Le tre campate interne, che ora hanno un tetto ligneo, probabilmente erano in origine coperte con una volta a botte impostata su robusti pilastri addossati alle pareti che scandiscono in tre campate lo spazio interno.

L’ingresso alla Chiesa e la suastruttura interna

 

Come si nota, alla destra del portale compare inciso il simbolo geometrico del Fiore della Vita, un fiore a sei petali che si trova rappresentato in diverse parti del mondo, tra Oriente e Occidente, con differenti significati.

Tale simbolo è direttamente collegato ai primitivi culti del sole, associato al fiore primaverile del narciso; in tutto l’arco alpino è diffuso persino nelle case e nei mobili, col nome di Sole delle Alpi. Nell’antico Egitto si trovava come simbolo nel Tempio di Osiride. La Chiesa in epoca medievale lo adotta come simbolo della Resurrezione. Ha avuto larga diffusione sulle architetture civili e religiose lungo tutta la fascia montana e pedemontana dell'Appennino, e intorno al XIII-XIV secolo lo ritroviamo sulle architetture religiose dei Cavalieri Templari.
Secondo gli studi recenti, questo simbolo si trovava anche nelle chiese longobarde del X secolo. Anche presso Palazzo Bocci a Serra San Quirico, ex Palazzo Marcellini il simbolo del Fiore della Vita compare scolpito su una colonna. Entrando nella Chiesa, si notano subito i robusti pilastri quadrangolari, addossati alle pareti, che scandiscono tre campate, l’ultima delle quali è d’incrocio con il transetto. Nel transetto ci sono due piccoli altari, sormontati ciascuno da una pesante pietra antica, forse di origine etrusca.

 

 

Sulla parete destra spicca la singolare urna colorata con 29 reliquie, che, come ci informa Domenico Gaspari, erano appartenute a S. Maria di Panocchia, e che, nascoste per lungo tempo, poi furono ritrovate nel 1606.
Sopra il reliquiario c’è una nicchia con una statua di Sant’Antonio da Padova.

Molto importante è il testo delle due lapidi sulla stessa parete: la prima a sinistra parla del terremoto che nel 1741 distrusse l’edificio e della ricostruzione quasi immediata, mentre quella a destra fa riferimento al restauro avvenuto successivamente nel 1837, sotto la cura dell’Arcivescovo di Camerino. Spostandosi verso l’abside, si nota la traccia dell’ultimo restauro avvenuto pochi anni fa: il primo dettaglio che ci colpisce è proprio il motivo delle stelle, che dà il nome alla Chiesa; le immagini raffigurate riguardano, dall’alto nel catino absidale, una tempera della Madonna col Bambino tra le stelle, poi a sinistra una Madonna col Bambino che allatta, un motivo che ricorre molto nell’iconografia cristiana.

Viene chiamata anche la “Madonna del Latte” ed è sempre rappresentata a seno scoperto, colta nell'atto di allattare il figlio oppure mentre le gocce di latte scendono dal suo seno direttamente nella bocca di Gesù; il significato è quello di esprimere la natura umana che è insita in Cristo insieme a quella divina. Si pensa che l'iconografia risalga all'Antico Egitto, epoca in cui erano diffusissime le immagini della Dea Iside intenta ad allattare il figlio; non a caso, le prime rappresentazioni iconografiche ufficiali della "Madonna del Latte" si ritrovano nell'Egitto ormai cristianizzato del VI o VII secolo dopo Cristo.

Il motivo divenne molto popolare nella scuola pittorica toscana e nel Nord Europa a partire dal Trecento. Accanto all’antico confessionale è appoggiata proprio la cornice lignea dorata che un tempo incorniciava questa Vergine che allatta. A destra compaiono le immagini di San Romualdo che, come abbiamodetto prima, fu il fondatore dell’ordine dei Monaci Camaldolesi a cui fu affidato questo complesso con il monastero annesso e l’immagine di San Domenico, fondatore dei Frati Predicatori. L’arredo della Chiesa è molto semplice, costituito da candelabri, lampade votive e da un piccolo ostensorio.

I due altari posti ai lati del transetto, costituiti da due grosse pietre, ci rivelano preziose informazioni. Su una si legge il nome di Gian Paolo Giuniperi, sacerdote jesino che fu abate del complesso nel XVIII secolo. Gli altari sono l’elemento più misterioso ed affascinante di questa chiesetta: si pensa che siano sopravvissuti all’antico tempio pagano preesistente e che fossero altari usati per i sacrifici ad alcune divinità pagane, come la Dea Bona e la Dea Cibele. Sotto l’appellativo latino di Dea Bona, che ha un significato generale di Grande Madre, si venerava un’antica divinità indigena laziale, di cui era vietato pronunciare il nome. Si tratta della latinizzazione dell’antica dea greca Damia, divinità venerata specialmente a Sparta e a Taranto. Purtroppo la Dea Bona non trova una chiara caratterizzazione.

La versione più accreditata del mito la vuole moglie o figlia di Fauno: secondo la versione riportata dall’autore latino Lattanzio, la dea è la moglie di Fauno, una moglie molto abile in tutte le arti domestiche; come Fauno, era una divinità della pastorizia e dei boschi, e in alcune fonti si dice che predicesse l'avvenire. Dal suo culto erano esclusi gli uomini ed era una divinità molto pudica. Un giorno, però, trovò una brocca di vino, la bevve e si ubriacò. Suo marito la castigò con verghe di mirto a tal punto che la uccise. Questo spiega l’esclusione del mirto dai suoi templi. La Festa della Dea Bona ricorreva una volta all’anno, a una data non fissa, ma sempre al principio di Dicembre; si celebrava di notte, nella casa di un magistrato dove convivevano le matrone romane. Come vittima veniva offerta alle dea una scrofa; la sala della festa siornava di tralci di vite, mentre non doveva comparirvi il mirto. Nella Roma imperiale la Dea Bona era divinità salutifera, infatti una piccola farmacia era annessa al suo tempio, e le donne ricorrevano volentieri all’aiuto della divinità e al consiglio di speciali collegi di sacerdotesse addette ai templi stessi.

Anche la Dea Cibele era una divinità dell’Asia Minore e dell’antica Grecia, ma il suo culto fu accolto anche da Roma all’inizio del II sec. a.C.; anch’essa identificata con la Grande Madre, soprintendeva allafertilità della terra ed era simbolo della natura vergine e incontaminata. Essendo conosciuta anche come la ‘Signora delle belve’, veniva
raffigurata spesso seduta in trono fra due leoni, oppure con un piccolo leone sulle ginocchia. Sempre sul braccio sinistro del transetto compaiono un ostensorio bianco con i simboli delle stelle e, appoggiata a terra, l’antica campana in ferro che si faceva suonare al posto di quella attuale. Nel braccio destro del transetto, oltre all’altare pagano, troviamo un quadro appeso che riporta la firma di Sante Pieragostini, un pittore che risiede proprio a Mergo; si tratta di una raffigurazione della Vergine col Cristo morto che ricorda la Pietà di Michelangelo.

L’esterno e l’ex convento

 

 

Quella che oggi è la casa del custode Chiodi corrisponde con l’antico convento dei Monaci Ospitalieri, che cedettero la chiesa e l'annesso convento ai Monaci Camaldolesi dell'abbazia di Sant'Elena. Non sappiamo nulla sulla struttura del convento; tutto ciò che sappiamo è quanto abbiamo raccolto dalla viva voce del Signor Chiodi e del figlio che vive con lui su questo colleda ben 40 anni.

Durante le operazioni di restauro della struttura, che risalgono a circa 5 anni fa, sono state rinvenute alcune ossa dei Monaci Camaldolesi.

La notizia che all’interno del convento si trovasse la prima copia della Divina Commedia è collegata alla storia dell’eremo di Fonte Avellana e al Monte Catria, che Dante doveva conoscere bene perché lo menziona nel Canto XXI del Paradiso, dove incontra San Pier Damiani. A tal proposito, il Signor Chiodi ci ha raccontato che lo stesso Don Mauro Costantini, l’amato parroco di Serra San Quirico che dà il nome al nostro Istituto, trovò sul luogo dei libri in latino e forse una grossa Bibbia, ma non ci ha saputo confermare a proposito della Divina Commedia. Il dott. Claudio Latini, Sindaco di Serra San Quirico negli anni 1985/90, riferisce che nel 1989 l’Università di Firenze inviò una piccola equipe (composta da due docenti e cinque studenti) per effettuare una ricerca nella nostra zona per individuare lo Sciptorium nel quale furono duplicate le prime copie della Cantica dell’Inferno.

Risulta infatti che Dante prima ancora di completare l’intera stesura della Divina Commedia, commissionò ai monaci di Fonte Avellana, celebri amanuensi, la duplicazione della Cantica dell’Inferno. I monaci di Fonte Avellana, sovraccarichi d’impegni, “subappaltarono” la duplicazione ad un altro Scriptorium camaldolese, non meglio identicato. La ricerca dell’Università di Firenze individuò lo Scriptorium proprio nel piccolo monastero camaldolese annesso alla chiesina di Santa Maria delle Stelle (oggi casa Chiodi).

Il garage e l’abitazione attuale dei signori Chiodi sono stati aggiunti all’edificio preesistente del convento.

A proposito delle campane, dobbiamo ricordare che l’unico giorno in cui si fanno suonare in contemporane a con le campane di Serra San Quirico è la ricorrenza del 15 Agosto, Festa dell’Assunzione, quando nella Chiesa viene celebrata l’unica messa dell’anno. La ricorrenza coincide con la festa dei cocomeri, qui chiamata anche “festa dei pagliari”; la festa si celebra ancora oggi, grazie alla collaborazione tra il parroco di Serra San Quirico, Don Michele, e il Signor Chiodi. Ci restano molte foto storiche interessanti dei festeggiamenti antichi, ma soprattutto abbiamo la simpatica testimonianza del Sig. Francesco Pietrini, nato a Roma, che ha scritto una poesia ispirata alla Festa dell’Assunzione e alle celebrazioni della Madonna delle Stelle, realizzando uno splendido plastico della Chiesa stessa.

Scusandosi del dialetto romanesco, l’uomo dedica l’affettuosa poesia alla sua mamma che gli insegnò l’Ave Maria quando, da piccolino, si recava da Serra al Colle delle Stelle nel giorno dell’Assunzione.

 

Quann’ero ragazzino, mamma mia me diceva:

“Ricordate, fijolo, quanno te senti veramente solo

tu prova a recità ‘n’Ave Maria.

L’anima tua da sola spicca er volo

e se solleva come pe’ maggìa.”

 

Ormai so’ vecchio, er tempo m’è volato,

da un pezzo s’è addormita la vecchietta,

ma quer consijo nun l’ho mai scordato.

Come me sento veramente solo

io prego la Madonna benedetta

e l’anima da sola pija er volo!

 

La vista dal colle e i paesi vicini

 

La bellissima vista dal colle ci permette di distinguere chiaramente i vari comuni della Valle del Misa e della Vallesina. 
La Valle del Misa è percorsa dal fiume Misa, che nasce nella zona di San Donnino, comune di Genga, e che sfocia nel Mare Adriatico dopo aver attraversato parecchi comuni dell'entroterra anconetano in direzione Est, tra Arcevia, Serra de' Conti, Ostra Vetere, fino a Senigallia. Dal colle, guardando verso Ovest, si vede bene Arcevia, che è il paese più alto della valle sopra il livello del mare; spostandoci verso Est ci sono alcune frazioni di Arcevia, tra cui Castiglioni, ed ancora più a Est ci sono Serra De’ Conti e Montecarotto. 
Nelle zone dietro Serra De’ Conti si notano i comuni di Ostra Vetere, Barbara, Castelleone di Suasa e Corinaldo. All'orizzonte è visibile, nelle giornate serene, la striscia di mare della costa adriatica.

Per quanto riguarda la Vallesina, percorsa dal fiume Esino che nasce nei pressi di Esanatoglia e sfocia a Falconara Marittima, si scorge Poggio San Marcello, un paese che si trova tra la Vallesina e la Valle del Misa. A destra vediamo Rosora e in lontananza il Monte Conero, l’unico grande promontorio delle Marche.

Si possono scorgere anche i paesi di Maiolati Spontini e di Cupramontana. Procedendo con lo sguardo si vedono Sasso e Castellaro.

In fondo si riesce persino a vedere Cingoli, che si trova in provincia di Macerata.

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